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Curiosità dei Gladiatori nella Roma Antica

Chi non ha visto il film “IL GLADIATORE”? La Storia di Massimo è una storia originale che segue la vita del generale Massimo Decimo Meridio, dalla sua infanzia in Ispania fino alla battaglia che conclude il conflitto in Germania nel 180 d.C.

La storia esplora i complessi rapporti tra Massimo e personaggi quali Marco Aurelio, Commodo e Quinto, e dà notevole rilievo al suo amore giovanile per Lucilla, come pure alla sua vita con la moglie ed il figlio in Ispania.

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La Storia di Massimo introduce inoltre molti nuovi personaggi, nel tracciare l’ascesa di Massimo nell’esercito, da ragazzino semplice legionario alla sua posizione di potere come comandante delle legioni settentrionali, prediletto dall’imperatore Marco Aurelio. Prima massimo era un generale romano che poi e diventato gladiatore, che con la sua frase storica ha appasionato tutti:

«Mi chiamo Massimo Decimo Meridio,comandante dell’esercito del nord,generale delle legioni Felix,servo leale dell’unico, vero imperatore, Marco Aurelio. Padre di un figlio assassinato. Marito di una moglie uccisa. E avrò la mia vendetta, in questa vita o nell’altra.»

Come mostrato nel film, i gladiatori erano schiavi, ma anche uomini ammirati e ossequiati, che in tal caso godevano di condizioni privilegiate e dell’accesso alle attrazioni più prestigiose della civiltà romana.

Ogni gladiatore aveva la facoltà di ritirarsi dall’incontro a propria discrezione. Inoltre, nel momento in cui uno dei duellanti prevaleva sull’altro, la folla esprimeva effettivamente il proprio volere circa la sorte dello sconfitto.

L’ultima parola spettava all’imperatore, ma raramente questi ne decretava l’esecuzione: in tal caso, infatti, era tenuto a pagare un consistente risarcimento. Il gladiatore prossimo alla morte a causa di ferite gravi esponeva coraggiosamente il petto al vincitore.

Nell’antichità, il gesto dell’imperatore che ordinava la morte dello sconfitto non era il pollice abbassato ma era invece il pollice alzato, simbolo della spada sguainata (il gesto contrario, vale a dire richiudere il pollice nel proprio pugno, indica la spada rimessa nel fodero). Sebbene il regista Riddley Scott fosse stato informato di questo, ha preferito usare il gesto classico per non confondere gli spettatori.

In uno dei combattimenti nel Colosseo, mentre Massimo affronta un erculeo gallico, alcuni schiavi fanno uscire, dalle grate intorno all’arena e tenendole al guinzaglio con delle catene, delle Tigri che tentano di azzannare i due: questo tipo di combattimento non era tipico dei gladiatori (che combattevano solo tra di loro), bensì dei giochi venatorii: inoltre in questi combattimenti venivano usati i leoni portati a questo scopo in grande quantità dal Nord Africa, non le tigri.

Nella scena della distribuzione del pane all’inizio dei giochi non ci si può riferire alla celebre frase “panem et circenses“, dove è errato interpretarla come desiderio del popolo, ma la frase era riferita ai depositi portuali nell’odierna Libia e Tunisia, da dove partivano le navi cariche di grano e animali per i giochi circensi.

Il popolo non gridava “A morte” ma “Jugula” (Tagliagli la gola), sistema rapido per porre fine al gladiatore sconfitto. Spesso però, se questo si difendeva bene e con valore, veniva risparmiato.

In uno degli epici scontri ambientati nel Colosseo, nell’arena fanno la loro comparsa anche balestre a ripetizione, che non esistevano.

In merito a Commodo succedette sul trono a Marco Aurelio nel 180 d.C. e, dodici anni dopo, fu effettivamente ucciso da un gladiatore, anche se non nell’arena: fu strangolato nel bagno dal suo istruttore.

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