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AIKIDO, QUANDO CADERE È UNA NECESSITÀ

Nadia Valeruz, IV Dan DANTAI Takemusu Aikido

Il giovane samurai sta compiendo il suo dovere sul campo di battaglia, la katana del suo avversario è veloce e pericolosa, il terreno è scosceso, nell’impeto del combattimento il giovane rischia grosso: un piede in fallo, il colpo arriva! nonostante il peso dell’armatura il samurai asseconda il movimento accidentale ed effettua una mae ukemi, una caduta rotolata che lo riporta automaticamente in piedi e gli permette di parare il fendente, senza doversi immaginare in un tal frangente, in ogni momento potrebbe presentarsi l’occasione di dover essere un buon uke in grado di cadere e proiettarsi naturalmente, in maniera efficiente.

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Per arrivare a questa condizione ideale è necessario avere un buona preparazione; le cadute rivestono un ruolo primario nello studio dell’Aikido e, non a caso, sono elemento di stupore ed attrazione per coloro che decidono di avvicinarsi a questa disciplina.


Il secondo Doshu, figlio del fondatore, fece una grande opera di diffusione e promozione dell’aikido durante il dopo guerra, in quel periodo l’Hombu Dojo di Tokyo vide una certa evoluzione delle tecniche e, le cadute e le proiezioni in particolare si trasformarono in maniera più spettacolare divenendo molto più ampie, come le conosciamo oggi.

Inizialmente invece esse erano quelle proprie del budo giapponese: più chiuse e raccolte. In un modo o nell’altro saper cadere o proiettarsi è una capacità che merita di essere studiata attentamente e curata con dedizione in quanto può essere l’unico modo di uscire da una leva dinamicamente, magari come metodo di fuga, ma soprattutto indenni.


Nonostante il fascino che le cadute esercitano, molti di coloro che iniziano a praticare aikido trovano difficoltoso vincere la paura di cadere e soprattutto di proiettarsi a causa di una leva o una spinta destabilizzante; in generale questo si verifica più spesso tra le donne che sono più timorose degli uomini.

Anche l’età fa la differenza: i ragazzi infatti sono più temerari degli adulti e anzi si divertono a mettere alla prova le proprie abilità. Ad ogni modo non vi è dubbio che cadere, prendere confidenza con il tatami, fortifica il corpo e lo spirito.


Una buona scuola di Aikido quindi deve avere una pedagogia ben determinata, il metodo d’insegnamento che vede aumentare la difficoltà delle cadute in maniera graduale cosicché tutti gli allievi, anche quelli più impacciati, possano tenere il passo con il resto del dojo, in effetti è proprio attraverso tanti piccoli passaggi progressivi che si evita di farsi male, perché basta anche un piccolo trauma, ad esempio ad una spalla, per fermare ogni progresso anche per un lungo periodo di tempo.

Attenersi a un insegnamento metodico, oltre a far permettere di progredire tutti insieme, fa sì che il praticante non arrivi ad acquisire questa abilità in maniera inconsapevole ma, della vasta gamma di cadute possibili, conoscerà ogni dettaglio, ogni movimento e saprà dosare l’energia necessaria per renderle perfette.

L’educazione del corpo attraverso lo studio e la pratica (RENSHŪ) significa interiorizzare e si traduce in sicurezza, la consapevolezza porta al controllo della caduta che ci si accinge ad eseguire e, una volta acquisita un po’ di confidenza è possibile scoprire il piacere di trovarsi per qualche istante a guardare il mondo a testa in giù.


Che utilità saper cadere in maniera adeguata!

Nell’ottica dell’antico e testato budo giapponese possiamo considerare le cadute come “volontarie” o “involontarie” (quindi necessarie), le seconde forse più importanti delle prime in quanto espressione di un evento improvviso ed imprevedibile; il loro studio quindi va interiorizzato e l’esecuzione resa naturale, ad esempio scivolare improvvisamente su una superficie ghiacciata ed effettuare una caduta spezzata (che possa essere laterale, avanti o indietro, quindi non rotolata, senza sbattere punti sensibili come la colonna vertebrale, i gomiti o i polsi, sarebbe ideale, se invece ci capitasse di inciampare davanti ad un piccolo ostacolo una bella MAE UKEMI risolverebbe una situazione potenzialmente traumatica. La caduta spezzata inoltre è indicata in ambienti piccoli dove lo spazio a disposizione non permette di rotolare per scaricare l’energia della caduta in maniera sufficiente.


Bisogna infine sottolineare che cadere sul pavimento richiede accortezze che non si adottano sul tatami: Una USHIRO UKEMI (rotolata indietro), ad esempio, dovrà terminare a gambe tese per evitare di atterrare con una forte ginocchiata.

L’impatto col tatami, col terreno in generale è qualcosa che viene dimenticato da adulti, ritornare a buttarsi, rotolarsi e proiettarsi in maniera più o meno spericolata richiama sensazioni spesso lontane provate da bambini e, così come allora, le cadute diventano fonte di divertimento nonostante la necessità di rimanere concentrati sui dettagli, ultimo ma non ultimo, ZANSHIN, lo stato di attenzione che un buon praticante mantiene alto al termine di ogni tecnica e di ogni caduta in quanto continuazione, per essere pronti all’azione successiva, come, eventualmente, parare un fendente!

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